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RETE SOCIALE
05/05/2008  Lascia un commento
Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale
Di Rossella Nicoletti

Il messaggio di tale comunicazione vuole essere al contempo semplice e radicale.
E’ dedicato al patrimonio culturale come condizione e risorsa essenziale per uno sviluppo locale durevole e sostenibile. Riflessioni di carattere generale, ma che trovano una precisa collocazione nella mente di ognuno di noi, abitanti del luogo in questione, la città di Matera e lo spazio circostante. Si rivolge agli operatori culturali, a chi si occupa di sviluppo economico e sociale, ai decisori politici e agli imprenditori, ai membri delle strutture associative e ai singoli cittadini, per invitarli tutti a riflettere sullo stesso concetto di patrimonio culturale e per proporre loro una diversa visione del patrimonio e dello sviluppo.
Si avanza una possibilità di conservarlo nella sua vitalità e si invita ad assegnare al patrimonio culturale un ruolo centrale nelle politiche pubbliche così come nell’iniziativa privata, ponendolo a fondamento dello stesso sviluppo locale. Si propone di operare a livello sia comunitario che locale, costruendo lo sviluppo dal basso, un concetto che vede alla base una compenetrazione tra paesaggio rurale e urbano.
Questo appare un dato distintivo della nostra città, la si può proclamare un “museo a cielo aperto” e portatrice della più antica tradizione di tutela al mondo, ponendo la relazione tra museo e territorio, laddove decide di integrare la tutela con la valorizzazione, per trasformarla così da passiva ad attiva, e coinvolgere la popolazione tutta, la cultura viva, più che nella gestione, nella “cura” diretta delle cose.
Hugues de Varine nel testo “Le radici del futuro”, da cui tali riflessioni hanno preso forma e consistenza, ci invita innanzitutto a considerare il ruolo delle persone che nel patrimonio vivono, che abitano fianco a fianco dei musei, dei monumenti, dentro il paesaggio proposto ai turisti; di tutti coloro che prima di essere eventualmente utenti, ne sono innanzitutto parte e che dovrebbero essere i primi a sentirsi protagonisti dei processi di tutela e valorizzazione di un patrimonio vissuto come “proprio”.
Il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini
Ci è richiesto fin da subito, uno sforzo concettuale, con risvolti molto pratici, su cosa fare, da ora in poi per coinvolgere tutti gli abitanti di Matera in questo progetto di città. Dovremmo essere capaci di divulgare e adottare Il Codice dei Beni Culturali, e farlo divenire il criterio guida del nostro agire, affinché il patrimonio culturale sia sentito come il DNA della comunità, in quanto memoria del passato ed eredità di conoscenze, capacità e valori.

Ciò significa esaminare il valore del patrimonio culturale da una pluralità di punti di vista, affinchè la prospettiva del turismo, culturale o meno, possa essere una delle variabili, ma non la sola o la più importante, soprattutto se non posta in un’ottica lungimirante.

Si potrebbe cominciare a riconsiderare i musei in altro modo, in cui si sviluppano competenze tecniche, scientifiche e umanistiche in grado di unire conoscenza, studio, conservazione, restauro, documentazione, ma soprattutto capacità i comunicare e coinvolgere, costruendo quella forte relazione tra comunità e patrimonio.

Le Amministrazioni pubbliche dovrebbero elaborare, gestire e monitorare una pianificazione del territorio fondata sul rispetto dei suoi caratteri originali, nel senso di specifici, peculiari e differenziati. Dovrebbero divenire non più espressione di poteri separati, di logiche rese conflittuali dal permanere di culture e linguaggi diversi, ma il prodotto dell’incontro e della fusione dei loro elementi migliori: di una ricerca accademica sottratta all’accademismo, di un’attività di tutela liberata dall’eccessivo conservatorismo, di un’azione degli enti locali con linee guida e regole coerenti, per essere gestita da un corpo unitario di “addetti” più appassionati, in futuro reso omogeneo da una formazione, da requisiti di accesso, da logiche e approcci comuni.

Sino ad ora, quando si parla di sviluppo economico, sviluppo sociale e sviluppo culturale, pare che tra questi mondi non vi sia alcun punto di contatto. Si dovrebbe lavorare esattamente nell’esatto contrario, perché la natura e la cultura sono vive quando appartengono ad una popolazione e ne costituiscono il patrimonio, invece muoiono rapidamente quando divengono oggetto di appropriazione e di codifica da parte di specialisti esterni alla popolazione stessa, a cominciare dalle multinazionali o dai grani progettisti esterni che stanno assalendo anche il territorio del materano.
Bisognerebbe iniziare a capire come il patrimonio culturale sia una risorsa, una risorsa non rinnovabile (nella stessa identica forma), ma prevalentemente trasformabile e riproducibile, ma non deturpabile, perché lo si può continuamente rigenerare facendogli assumere nuove forme, senza alterarne la sostanza, integrandolo con una dinamica di sviluppo, cioè di governo del cambiamento, perché se il cambiamento non è governato, il patrimonio culturale si impoverisce, e intere sue parti vanno perdute, senza reali benefici per alcuno. Bisogna prestare anche attenzione a quando si parla di valore, che si intenda il valore d’uso e non di scambio, perché stiamo parlando di bene e non di merce, perché stiamo parlando di bene comune. Partire dalla conoscenza del patrimonio. Il patrimonio culturale dovrebbe essere la carta d’identità della comunità. Senza accentuare in maniera negativa il concetto di “identità culturale”, per non cadere nello sciovinismo o campanilismo, è comunque importante che una comunità locale abbia un’identità forte fondata sulla cultura e il patrimonio.

Si parte facendo un censimento, non soltanto tecnocratico, perché non lo si deve ridurre alle opere più visibili o riconosciute a livello mondiale, ma ci si deve riferire alla complessità della sua natura e soprattutto alla cultura viva della comunità. Bisognerebbe arrivare in un territorio nuovo e cercare di conoscere il patrimonio culturale locale, ponendo la comunità locale al centro. Lo sviluppo sostenibile è dovere di tutti in un territorio e la conoscenza di un patrimonio deve essere condivisa da tutti e uno dei momenti più efficaci è sicuramente un sopralluogo iniziale, con gli abitanti, le associazioni, i pensionati, gli studenti, gli studiosi locali. Una seconda fase potrebbe consistere nell’informare l’insieme degli abitanti, infine, una terza fase della condivisione passa attraverso l’appropriazione del patrimonio culturale.

Le mostre sono un altro modo per realizzare un censimento condiviso, perché gli abitanti/attori/visitatori sono i migliori informatori quando la loro memoria è stimolata da un’esposizione che possono criticare; pertanto le mostre si possono “rivedere” alla luce delle osservazioni e delle informazioni fornite dai visitatori. Si tratta dunque di un “censimento partecipato”. Queste sono solo alcune proposte per azioni da compiere nel prossimo futuro. Si tratta essenzialmente di ascoltare gli abitanti.

Tale forma di conoscenza è insieme un obiettivo e uno strumento. Oltre al sopralluogo e alla mostra, ci sono poi quelle che vengono definite le “azioni pretesto”, condotte sul patrimonio culturale e su uno dei suoi aspetti: tutela di un sito o di un piccolo monumento (conferenze – stampa, azioni condotte nel quadro scolastico, conferenza tenuta da un esterno, visita ad un altro territorio che ha già avviato un censimento del genere). Un compito più difficile è individuare il patrimonio culturale immateriale, perché non lo si ridurre a monumenti, oggetti, documenti; è essenzialmente vivo, dinamico, fragile e legato agli individui, come per esempio l’artigianato tradizionale, che si avvale di un “saper fare”, di tradizioni estetiche e di usi antichi.

La possibilità di conservare il patrimonio culturale diviene un fattore della sua gestione quando si tratta di attività fondate su quello stesso patrimonio; anzi si può dire che la conservazione sia uno dei modi pedagogici di uso dei beni culturali per lo sviluppo. (Pensiamo soltanto per un attimo a cosa potrebbero contenere tanti locali nei Sassi, e quali attività svolgere negli spazi aperti e chiusi dei luoghi che stiamo considerando, a cominciare proprio dai giardini di S. Agostino!) Inoltre, ogni azione locale va in una certa direzione, in quanto è o vuole essere un vettore di sviluppo, e dunque occorre determinare chiaramente questa direzione, dovrebbe essere il senso dei piani e programmi di un’amministrazione, ad esempio quando si parla di piano strategico.

Dunque la necessità di una “riflessione strategica” preliminare all’attività, seguita da una comunicazione alla comunità, perché l’obiettivo deve essere sempre ben presente a tutti, e non solo, deve essere anche condiviso.

Rossella Nicoletti
 
 
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