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News 27/04/2024
Michele Morelli
"Matera si proietta ufficialmente in una dimensione europea, esaltando una delle sue principali piazze cittadine … rendendola il nuovo centro civico e il nuovo simbolo architettonico della città" . "La giornata odierna rappresenta un momento di apicalità …"

"Matera sta preparando il salto di qualità. Si candiderà a capitale europea della cultura e diventerà punto di riferimento per il turismo attraverso un disegno urbanistico di qualità".

"Si tratta del primo passo per rendere Matera laboratorio creativo per l’architettura contemporanea e sede di centro applicativo della manutenzione urbana"
 
Sono solo alcune delle tante dichiarazioni che hanno fatto da contorno alla presentazione del vincitore del concorso di idee promosso dall’amministrazione comunale. Spesso gli amministratori sono portati ad enfatizzare più del dovuto le cose che propongono. A volte, nell’esagerare, rischiano di superare i limiti della ragione e defluire, con le loro testimonianze, nel grottesco.

La prima domanda che ci siamo posti è se davvero siamo di fronte ad un evento epocale, una nuova epopea, ad una impresa memorabile.
Con tutta franchezza, crediamo che sia necessario ridimensionare l’enfasi con la quale gli organizzatori hanno annunciato l’evento. Il paragone con la vicenda urbanistica degli anni 50 appare a dir poco azzardato. La riqualificazione dell’area ex ferrovie calabro lucane, che non è mai stata una piazza e né lo era nelle previsioni di piano, non essendo altro che il risultato di una mancata urbanizzazione, non possiede nessuno dei presupposti urbanistici, sociologici, antropologici, culturali ed economici, per non dire storici, della vicenda, quella si epocale, che ebbe avvio alla metà del secolo scorso e continuò per circa un ventennio. Non ci sembra il caso di avventurarsi su questo terreno di confronto.
Se vogliamo essere onesti con noi stessi, l’oggetto di cui si discute non è altro che una banale operazione (anche se complessa) di riqualificazione di un’area modesta, un ex nodo ferroviario di provincia, nel cuore della città, a valle di una urbanizzazione squilibrata consumata sulla collina di Macamarda.

E proprio a partire da quello che era accaduto nel centro direzionale, molti cittadini, in questi ultimi anni, hanno manifestato la volontà di salvaguardare il comparto evitando quanto più possibile l’inserimento di nuovi volumi.

Questa esigenza è stata ribadita in più occasioni, finanche nell’ultimo documento di indirizzo approvato dal consiglio comunale per la redazione del regolamento urbanistico e il piano strutturale (delibera di C.C. n. 39 /2006).

Cambia l’amministrazione, cambiano gli indirizzi. Se si chiede al privato di sostituirsi al pubblico con l’artificio del "progetti di finanza", pare evidente che le proposte non possono che prevedere volumi compensativi per le imprese.

Il punto critico sta proprio nel contenuto dell’indirizzo posto a base del concorso, vale a dire la convenienza economica dell’intervento da parte delle imprese costruttrici. Rendere appetibile una proposta di trasformazione urbana alle imprese significa, più delle volte, ipotizzare interventi volumetrici oltre misura, per non dire fuori scala come nel caso di cui parliamo. Si è voluto tener fuori la città (si è voluto evitare il contatto con la comunità, l’incontro etnografico direbbe E. De Martino) pensando che il problema si potesse risolvere delegando il tutto ai grandi dell’architettura sperimentale (non riflettendo sui limiti di una progettazione “svolta per visite” aggiungerebbe G. B. Bronzini).

Per l’attuale amministrazione la questione non è più la ricucitura dello strappo consumato negli ultimi vent’anni, è diventata un’altra. Si è de-contestualizzato il luogo e, nello stesso tempo, per stupire e infondere un panorama di ottimismo, si sta tentando di offrire ai materani il "vaso di pandora".

Il che significa più opere, più cemento, meno spazio libero per respirare. La nostra tradizione urbanistica e architettonica è stata, nel bene e nel male, fortemente intrisa di valori ambientali, sociali e antropologici. La questione è se questa architettura, orfana, pericolosa e spesso sconcertante, fluttuante e per certi aspetti apparentemente immateriale, dai costi esorbitanti, contribuirà a definire un nuovo modello abitativo o se invece sarà destinata a soddisfare le solite note rendite e i desideri smanianti del "nuovo" ceto politico.

Ci interessa molto, invece, capire cosa pensano gli uomini e le donne che ragionano, i professionisti nostrani, gli intellettuali, i geografi e i sociologi urbani, gli scrittori e quanti sono in grado di esprimere autonomia di pensiero.

La città è in una crisi profonda, questo è forse il momento di discutere e concentrasi sul grande tema dell’innovazione tecnologica, sul risparmio energetico e fonti rinnovabili, sulle infrastrutture immateriali, sui servizi ai cittadini e alle imprese, di istruzione e formazione, di beni comuni e patrimonio ambientale, in una parola abbiamo bisogno di de-costruire la città.

Michele Morelli
     
 
 
 
 
   
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